Siria, tra le macerie della guerra un’oasi di pace e preghiera

Non c’è due senza tre, recita uno dei tradizionali proverbi e così in un piovoso e freddo pomeriggio d’inizio febbraio siamo atterrati a Beyruth, io e il mio confratello sacerdote di Napoli don Franco Rapullino, amico fin dai tempi del Seminario maggiore a Siena e compagno di tanti viaggi in quelle periferie esistenziali (secondo l’espressione di papa Francesco) come le Filippine, il Mali, il Burkina Faso e da alcuni anni anche la Siria alla ricerca non tanto di avventure o giri turistici ma per condividere un’esperienza di chiesa con missionari straordinari e monache consacrate alla vita contemplativa e alla lode di Dio nella comunione con quanti, appartenenti alle diverse confessioni cristiane, credono in Gesù Cristo e anche con i non cristiani. Sì, lo scopo del nostro viaggio in Siria dalle Trappiste del Monastero Maria Fonte della Pace di ‘Azeir (Homs) è stato quello di vivere quella comunione di fede e di amore che qualifica da sempre i discepoli di Cristo.
Per arrivare dal Libano al monastero oltre le innumerevoli trafile burocratiche dei visti, dei permessi e dei numerosi posti di blocco alla frontiera quest’anno ci si è messo di mezzo anche il Covid-19 con certificazioni della vaccinazione, del tampone prima della partenza e al nostro arrivo all’aeroporto libanese, con continue ed estenuanti attese dovute anche alla difficoltà della lingua, in quanto nessuno di noi due conosce l’arabo (don Franco una quindicina di parole in tutto che insieme ad un misto di inglese e napoletano hanno comunque smosso i rudi e tristi militari). Finalmente, dopo quasi una giornata di viaggio in macchina - con una sosta di preghiera sulle colline libanesi imbiancate dalla neve prima del confine siriano sulla tomba di San Charbel, una via di mezzo fra san Francesco e P. Pio, monaco maronita dell’Ottocento molto popolare e venerato in Oriente - nel tardo pomeriggio di Domenica 6 febbraio siamo arrivati a destinazione.  
Nonostante il freddo e una pioggia mista a nevischio le monache Madre Marta, suor Adriana, suor Mariangela e suor Marìta, ci attendevano trepidanti all’ingresso del monastero, fra l’arbusto delle rose tutto spinoso e ancora privo di boccioli, un rosmarino verdeggiante e alcuni alberi di pepe. Il loro abbraccio e la gioia intensa di rivederci dopo quasi quattro anni dall’ultimo nostro viaggio ci ha ricompensato di ogni fatica. Siamo andati subito a celebrare la S. Messa nella piccola cappella del monastero: le monache non hanno un cappellano - son costrette ogni tanto a scendere nel villaggio di ‘Azeir alla chiesa maronita - ed erano però tre mesi che non partecipavano ad una messa celebrata secondo il rito romano. Immaginate allora tutta la loro felicità. E’ stata una celebrazione commovente, i loro canti in arabo - nonostante qualche colpo di tosse dovuto ai malanni invernali - ci hanno conquistato e sono andati diritti al cuore, anche i testi liturgici della Parola di Dio sembravano pensati proprio per questo momento. Al termine della Messa abbiamo consegnato loro una consistente offerta frutto della generosità delle nostre comunità parrocchiali durante l’Avvento.
Nella settimana trascorsa con le monache abbiamo alternato le giornate partecipando con loro alla preghiera delle Lodi, ora media, vespro e compieta - evitando però l’alzata alle 4 del mattino per l’Ufficio divino - e soprattutto la celebrazione e l’adorazione eucaristica, con riflessioni e meditazioni sulla Parola di Dio. Le monache nonostante la loro maturità spirituale sentivano profondamente la necessità che qualcuno le aiutasse nell’approfondimento e anche nell’aggiornamento per quanto riguarda il cammino sinodale voluto da papa Francesco per tutta la Chiesa cattolica. E così ho potuto far loro qualche ora di scuola, visto che proprio a gennaio avevo terminato il corso sulla sinodalità all’Istituto di Scienze religiose di Siena.
Nonostante le difficoltà dovute alla situazione causata dalla guerra e dall’embargo delle sanzioni economiche che gravano ancora sulla Siria siamo potuti andare prima ad Homs e poi raggiungere l’altura del Krak des Chevaliers, l’antico castello crociato, un tempo meta turistica tra le più visitate della Siria. Per due anni occupato dai jihadisti di Jabhat al Nusra, vi sgozzavano i prigionieri nella piazza d’armi e poi collocavano le teste decapitate in cima alle torri per poi gettarle in un pozzo all’interno dell’edificio. Sostiamo in preghiera per alcuni momenti, in un silenzio surreale e carico di tanta tristezza. Oltre io e don Franco e l’autista delle monache non c’è nessuno. Scendendo sotto la galleria di accesso incontriamo una ventina di militari russi che ancora oggi sono di supporto ai militari locali. Ce ne sono tanti in questa regione che arriva fino al mare, a Tartous, dove durante il conflitto era schierata la flotta russa a difesa del governo di Assad.
Madre Marta ha organizzato per noi una visita anche ad Aleppo, città dove le monache hanno vissuto per quasi cinque anni in un piccolo appartamento nel 2005, anno del loro arrivo in attesa che iniziassero i lavori del monastero ad ‘Azeir dove poi si sono trasferite nel 2010. Qui abbiamo incontrato il Vicario apostolico dei cattolici di rito latino, l’anziano e malato vescovo francescano mons. Georges. Libanese, è stato per tanti anni parroco a Betlemme e poi a Gerusalemme, nel suo racconto o meglio nella sua testimonianza ci rendiamo conto quanto le comunità cristiane del Medio Oriente abbiano sofferto in questi anni per le varie guerre e conflitti. Lasciamo ad un suo collaboratore, sacerdote argentino del Verbo incarnato, una offerta per la celebrazione di S. Messe: è solo un piccolo segno di comunione e solidarietà.
Aleppo, città antichissima, con una ricca storia e cultura, con tanti monumenti, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’umanità è ancora oggi una città fantasma: interi quartieri distrutti, edifici pubblici e religiosi, moschee e chiese, ormai ridotti a cumuli di macerie, palazzi sventrati dalle bombe e dilapidati di ogni arredo dai terroristi jihadisti e guerriglieri delle milizie di al Nusra. Solo in una piccola parte della città è cominciata una lenta e difficile ricostruzione dove tuttavia malaffare, corruzione e mafia stanno ulteriormente distruggendo il tessuto sociale e umano di una popolazione stremata, impaurita e per certi aspetti incattivita.
L’esodo di milioni di siriani, soprattutto aleppini, ora si sta facendo sentire sempre più. Mancano professionisti di ogni categoria, medici, artigiani, operai specializzati, tecnici qualificati, mancano soprattutto amministratori e politici in grado di guidare una ripresa economica, sociale e culturale del paese capace di ricomporre un tessuto umano profondamente  segnato dai lunghi anni di guerra e assedio. C’è oggi in Siria più che altrove l’incertezza dell’ambiguità della politica internazionale, degli accordi di sottobanco, degli enormi interessi militari ed economici che mirano, come sempre, all’interesse di pochi, anzi di pochissimi e all’impoverimento di una maggioranza sempre più ampia di persone senza un lavoro, una casa, un futuro. Tanti bambini e ragazzi senza scuola e luoghi di aggregazione, tanti giovani che conoscono solo violenza, atrocità e odio.
E poi l’incognita dei gruppi armati e milizie straniere che ancora oggi sono presenti in Siria: proprio in questi giorni sono ripresi intensi scontri con armi da fuoco tra forze governative siriane e insorti nel nord-ovest della Siria, in un'area fuori dal controllo del governo centrale di Damasco e sotto influenza turca, a nord-ovest di Idlib, a ridosso della frontiera con la Turchia. Postazioni dello Stato islamico si concentrano nella zona semidesertica tra la città di Hama e l'Eufrate, in un'area dove l'Isis non è mai stato veramente sconfitto come fenomeno di insurrezione locale. Cellule jihadiste continuano a essere operative nonostante i continui bombardamenti di aerei russi e statunitensi e ancora oggi la Siria è una zona fortemente a rischio e fuori da ogni controllo: dieci anni di guerra civile hanno devastato la vita di milioni di persone e le sanzioni internazionali continuano a spingere migliaia di abitanti a scappare. La crisi economica taglia ogni speranza di miglioramento. Mentre i rifugiati all'estero non vogliono più tornare nelle proprie abitazioni.
Sono passati più di 10 anni dal 15 marzo 2011, data simbolica indicata come l’inizio delle manifestazioni contro il regime di Assad che sono poi sfociate in una lunga guerra civile che ha causato oltre 387 mila morti (di cui 118 mila civili) e ha costretto 12 milioni di persone a lasciare le loro case: di questi, la metà ha abbandonato il Paese per cercare rifugio all’estero, in particolare nei Paesi limitrofi come Libano, Giordania e Iraq. Numeri enormi se si pensa che nel 2010 la Siria aveva circa 23 milioni di abitanti. Come sempre accade nelle situazioni di conflitto, i più piccoli sono le prime vittime: almeno 12 mila bambini sono stati uccisi o feriti tra il 2011 e il 2020. Circa il 90% dei minori nel paese ha bisogno di assistenza umanitaria e oltre la metà dei bambini con meno di un anno di età soffre di arresto della crescita a causa della malnutrizione cronica. Per un’intera generazione la scuola è solo un ricordo lontano o qualcosa che non hanno mai visto: una scuola su tre è inagibile, perché danneggiata o utilizzata per scopi militari. Circa 2 milioni di bambini in Siria e altri 750 mila piccoli profughi nei Paesi limitrofi non vanno a scuola: quattro su dieci sono bambine, particolarmente esposte al rischio di diventare spose ancora giovanissime.
In questo contesto così difficile ci colpisce la serenità e la tenacia delle monache nel portare avanti la loro vita di preghiera e lode al Signore ma anche di essere un punto di riferimento per tante famiglie dei villaggi della vallata sulla quale si erge il monastero: accanto alla croce della fondazione ora è stata realizzata una bellissima fontana di pietre nere di basalto con impressa l’icona di Maria Fonte della Pace. E’ anche questo un segno di speranza per questo paese, il contributo della fede e delle differenti confessioni religiose che da millenni convivono in Siria cattolici maroniti, armeni, greco ortodossi e mussulmani sunniti e alawiti per una ricostruzione non solo materiale ma soprattutto morale, spirituale ed esistenziale. Lasciamo le monache con un nodo alla gola e con la promessa di ritornare, speriamo presto, per il completamento del monastero. Affrontiamo così il primo - di una lunga serie - posto di blocco a Talkalakh e via verso Damasco dove dopo l’ennesimo tampone e ulteriori controlli dei militari raggiungiamo nella notte la frontiera con il Libano superando le alture innevate del Golan per arrivare a Beiruth e da qui prendere il volo per Roma. InshAllah, se Dio vuole!     

don Sandro Lusini

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