Dopo un cammino che è sembrato lungo e laborioso, il 22 giugno è giunto
sulle note della Banda “Ivo Baffigi”, mentre una gran folla si
accalcava alle porte della Chiesa della SS. Trinità.
La popolazione del Pozzarello e tutta la comunità di Porto S.Stefano si
ritrovavano unite nell’Unico Abbraccio del “Cristo Risorto, Luce che
rischiara le tenebre della vita, al quale nulla è impossibile”. Mentre
tutti erano affascinati dal maestoso mosaico che risplendeva sotto i raggi
del sole, dai locali del ministero pastorale si apriva la processione
formata dai ministri, diaconi, sacerdoti e dal Vescovo Mons. Mario Meini.
Accompagnata dal coro che intonava un canto di gioia, la processione ha
fatto il suo ingresso in Chiesa. I volti delle persone rispecchiavano la
loro commozione interiore e nell’aria si avvertiva un’atmosfera di
festa: Cristo era davvero presente nell’assemblea riunita in Suo nome.
Da questo momento ha inizio la celebrazione della S.Messa, uguale alle
altre nella celebrazione eucaristica, diversa dalle altre per la
consacrazione della Chiesa.
Mons. Mario Meini fa’ salire sull’altare Stefano Busonero e la moglie
Antonietta, i quali hanno donato alla Parrocchia di S.Stefano Protomartire
il terreno su cui è stata costruita la Chiesa della SS.Trinità, e
conferisce loro il titolo di cavaliere e dama di San Silvestro Papa,
concesso dalla Santa Sede.
Il Vescovo benedice l’acqua per aspergere il popolo in segno di
penitenza e in ricordo del Battesimo. I ministri gli recano il recipiente
con l’acqua, mentre tutti pregano in silenzio e raccoglimento per un
breve tempo. L’acqua è ora benedetta e il Vescovo ne asperge il popolo,
le pareti della Chiesa e l’altare.
Un momento solenne è l’omelia di Mons. Meini, omelia che penetra nel
cuore di ognuno come rugiada che lenisce i dubbi e i dolori: “Cristo è
Luce che rischiara la foschia interiore della nostra coscienza, che ci
tende la mano quando siamo stanchi o delusi; Egli è il Risorto che
afferra per i polsi anche noi, come Adamo, e ci solleva
dall’abbattimento e dalla paura, liberandoci dall’angoscia della
morte”.
Segue il canto delle litanie, che emoziona e riunisce in un cuor solo
tutti i presenti. Dopo il rito dell’unzione, l’altare viene incensato e
preparato per l’Eucarestia. Il Vescovo, dopo aver incensato anche il
popolo e le pareti, consegna al diacono una candelina accesa con la quale
accende le candele dell’altare, affinché nella Chiesa risplenda la Luce
di Cristo e giunga a tutti i popoli la pienezza della verità.
Dopo aver ricevuto i doni, prima della celebrazione del Sacrificio del
Signore, il Vescovo bacia l’altare: quella pietra è diventata
l’Altare su cui Cristo si immola ancora per noi nel Sacrificio
Eucaristico. Questo gesto coinvolge ed unisce ancor di più l’assemblea
e questa al suo Vescovo e ai suoi sacerdoti.
Siamo al momento della liturgia eucaristica: il Vescovo e i
sacerdoti si dispongono a raggera per offrire ai fedeli il Corpo di Cristo
e l’assemblea risponde andando ordinatamente loro incontro.
Il Vescovo torna all’altare, prende il Santissimo Sacramento e con
alcuni ministri si reca al tabernacolo e, dopo averlo incensato, ve Lo
ripone per la prima volta.
Il coro, che ha iniziato con un canto di gioia e animato tutta la
celebrazione, fa sentire la propria voce nel canto di congedo, canto di
certezza e forza nell’Amore di Cristo, che “soffierà forte e gonfierà
le nostre vele” e le porterà fino a Lui.
Conclusa la celebrazione tutta l’assemblea si riversa nel salone
sottostante la Chiesa, dove è allestito un rinfresco, preparato dai
sacerdoti con l’aiuto delle donne e degli uomini del Pozzarello, i quali
hanno molto lavorato anche per pulire e sistemare la Chiesa ed i locali
annessi.
Tutta la comunità di Porto S.Stefano si è unita e incontrata con quella
del Pozzarello per preparare questo momento di festa.
Ritrovarsi è stato bello, non soltanto per gustare tutto ciò che era
stato preparato con cura e in abbondanza, ma è servito per scambiarsi le
emozioni e i sentimenti provati durante la celebrazione. I volti di tutti risplendevano di una luce nuova, nella
certezza di aver assistito a qualche cosa di grande, ad un mistero più
grande dell’uomo.
Questo ritrovarsi insieme ci deve far riflettere ancora una volta sul
cammino dell’uomo che volge il proprio sguardo verso Cristo. Il nostro cammino iniziato tanti anni fa verso la consacrazione di una
nuova Chiesa è giunto ad una tappa, ma non è finito. La Chiesa del
Pozzarello è un punto di arrivo, ma anche di partenza; un punto fermo dal
quale ripartire “ricaricati” per unirci come pietre vive al Mosaico
del Cristo Vivente. Le parole di Mons. Meini, di don Sandro e di padre Rupnik ci invitano a
percorrerlo con coraggio, fiducia e speranza nel Signore, che è la Via,
la Verità e la Vita.
Ed il mosaico della Chiesa della SS. Trinità non può che esserci
d’aiuto nel nostro cammino sia personale che comunitario, in quanto
riesce a dischiudere al credente il mistero dell’Amore di Dio Padre,
Figlio e Spirito Santo, nonché ad infondere speranza nella vita che per
il cristiano non finisce con la morte, ma assume un significato più
grande, grazie al Cristo Risorto, Salvatore e Redentore degli uomini;
perché “come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del
Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”.
Entrando in questa Chiesa non ci sono distrazioni perché lo sguardo
non può che essere rivolto verso il presbiterio, dove il mosaico
risplende, riuscendo a comunicare e parlare ai cuori, ed invita al
silenzio, all’ascolto e al discernimento.
Ora non resta che leggere e riflettere sulla spiegazione del progetto del
mosaico che riassume mirabilmente il significato che padre Rupnik ed il
suo atelier del Centro Aletti hanno voluto trasmettere e lasciare alla
nostra comunità. Nel prossimo numero comunque seguirà anche
un’intervista a padre Rupnik.
Un mosaico per la Trinità Intervista all’autore, il gesuita padre Marko Ivan Rupnik
Di solito, nel numero estivo di agosto, dedichiamo ampio spazio ad itinerari turistici, culturali ed artistico religiosi da proporre ai residenti e ai tanti villeggianti che capitano nelle nostre zone. Quest’anno la nostra diocesi possiede un’opera d’arte in più, che riassume in sé, per il luogo, il significato religioso e per l’effettiva bellezza artistica, tutti i connotati di questi itinerari; per questo concentriamo la nostra attenzione sul Mosaico della nuova Chiesa della SS.Trinità a Porto S.Stefano, attraverso l’intervista all’autore, il gesuita padre Marko Ivan Rupnik.
La struttura della Chiesa si prestava bene ad un’iconografia della SS. Trinità ?
All’interno di questa moderna architettura ecclesiale, grazie alla semplicità delle superfici e linee, allo slancio della parete presbiterale e alla parete d’ingresso quasi tutta in vetro, si avverte la sensazione di accoglienza, raccoglimento e apertura, e si può così parlare di una chiesa della comunità. Penso quindi che questa struttura si presti bene ad un’iconografia della SS. Trinità.
Come è nata nella sua mente e nel suo cuore l’immagine del mosaico, con le sue figure e i suoi diversi particolari?
Quando per la prima volta è venuto a parlarmi l’arch. Boccianti, ho avuto la sensazione di dover realizzare l’opera in un piccolo quadro; così mi sono un po’ preoccupato, perché non vedevo come poteva essere possibile dischiudere, su una superficie piccola, uno sguardo su un mistero così fondamentale, unico e assoluto, come quello della comunione dell’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Poi, quando sono venuto a Porto S.Stefano, su invito del Vescovo e del parroco, parlando con loro e insieme con l’architetto, ho avuto modo di constatare che si trattava di tutta la parete absidale. Allora ho subito avuto la percezione di dover manifestare il mistero della Trinità, così come Dio stesso ce lo comunica. Tutta la composizione ha lo slancio della discesa e della salita in un dinamismo di immagini e colori. Ce ne può esprime il significato?
Per me la più straordinaria descrizione della resurrezione del nostro Signore è quella che ha fatto Sant’Efrem il Siro nel IV secolo, uno dei più grandi Padri della Chiesa. Per questo ho sentito l’esigenza di far vedere questo momento solenne quando Cristo scende negli inferi, dove sono tutti i morti, e ridona loro la vita. Cristo non scappa dalla tomba, ma sprofonda la tomba e va ad aprire tutte le tombe dei morti fino ad Adamo ed Eva, cioè tutta l’umanità. Cristo non pensa a se stesso, ma vince la morte per tutti. E prende Adamo per il polso, perché è il posto dove si misura la vita, e gli ridà la vita, per mostrare che Lui ridona la vita. E con i progenitori quindi Lui accompagna tutta l’umanità, come libero attore in un vero “exodus”, una vera liberazione dalla morte, che nella Bibbia viene definita il salario del peccato. Per questo motivo ho cercato di far vedere questa discesa: lo Spirito Santo è la luce che scende e dà la vita; è Cristo come Salvatore, vero uomo vero Dio, che scende fino alla tomba. Per cui c’è questo movimento che parte dalla mano del Padre, per indicare il corso della vita che scorre, illumina, che è la luce. Non volevo fare il Cristo da cui escono i raggi, perché sarebbe stato troppo banale per un linguaggio odierno dell’arte. Cristo è la Luce che scende negli inferi e, come dice il testo greco di Giovanni 1,5 “le tenebre non potevano inghiottirla”; le tenebre non resistono alla Sua presenza, si spaccano, si spacca la terra, che non può più inghiottire nessuno per la morte; non esce la luce da Cristo perché Cristo è la Luce. Così ho scelto il colore blu anche se negli inferi doveva essere più nero, ma essendo Porto Santo Stefano un paese di mare, mi è sembrato che gli inferi si potessero rappresentare con il blu scuro delle profondità del mare, come si trova anche nella letteratura sapienziale.
Cosa può dirci riguardo alla scelta dei materiali utilizzati ?
Penso che oggi l’arte attuale sia in un dibattito abbastanza importante tra un’arte virtuale, immaginaria, digitale e un’arte della fisicità. Essendo noi cristiani una Chiesa dell’incarnazione e credendo che Dio si è fatto uomo, non possiamo disprezzare il mondo creato, né questo secolo e né il corpo. Serghei Bulgakov dice che il cristianesimo è l’unica religione che non perseguita il corpo, ma lo esalta, fino alla resurrezione; perciò mi è sembrato importante far vedere questa partecipazione della materia alla trasfigurazione del mondo. Bisogna aprire un’epoca nella quale la materia non è semplicemente la maledizione, l’opacità e il dramma della vita, ma è anche la rivelazione dello Spirito Santo che dà la vita; dunque la materia rende palpabile la vita, il dono che ci viene donato. Ho cercato di esprimere questa partecipazione cosmica di tutti i marmi, i graniti, gli smalti fatti appositamente per i mosaici e tutti gli altri materiali. Inoltre ho voluto fare la mano di Dio Padre prevalentemente con le pietre per mostrare che non è una mano di un extraterrestre, ma una mano anche terrestre, perché questo mondo sul quale noi camminiamo non è slegato dal volere del Padre. Tutto il mosaico infatti incomincia in alto con la mano del Padre, Padre che noi non conosciamo perché nessuno l’ha visto; Lo conosciamo solo dalla sua mano teofanica, cioè dal suo operare, e quindi la creazione e la redenzione; una mano totalmente aperta, che dà tutto, che è un dono totale, assoluto, senza interesse.
La sua arte riesce ad unire la tradizione e la modernità, per questo le sue opere piacciono anche al popolo, oltre che agli addetti ai lavori. In questo mosaico, ma anche nelle altre sue opere, come riesce ad unire i due aspetti ?
Un tempo mi sono sbilanciato molto sulla contemporaneità e ho provato su di me il rischio del soggettivismo, come linguaggio e comunicazione dei contenuti che, se sono soggettivi, sono sempre a rischio. Studiando e incontrando Vjačeslav Ivanovič Ivanov, ho scoperto che più che della ragione analitica o semplicemente del sentimentalismo pietista, che fa male alla fede, bisogna risvegliare la memoria, la sapienza. Penso che alcuni contenuti si possano comunicare in modo abbastanza preciso da generazione in generazione, attingendoli dal vissuto. L’arte liturgica deve esprimere l’oggettività della rivelazione di Cristo, celebrata nella liturgia, e poi anche la partecipazione soggettiva di ogni epoca, o almeno dell’epoca nella quale si realizza l’opera.
Ma l’arte cristiana è ancora un importante mezzo di comunicazione della fede ?
L’arte cristiana è il più importante mezzo di comunicazione delle fede. Non c’è nessun canale televisivo che si può paragonare o sostituire ad una madonna in un santuario. Quante scelte hanno fatto i nostri nonni e nonne, tutte le generazioni passate; ed oggi quanta gente si inginocchia davanti ad un immagine in un santuario, quante grazie si sono ottenute, quante scelte di vita si sono fatte. L’arte liturgica è l’arte della liturgia che fa parte dello spazio oggettivo dove Cristo si comunica e rivela. Ancora oggi si deve chiarire cos’è l’arte liturgica; ci sono troppi fraintendimenti tra l’arte religiosa, l’arte sacra, l’arte spirituale e l’arte della liturgia. Questi chiarimenti non si otterranno con grandi convegni, bensì li chiederà il popolo di Dio, perché certe opere saranno sempre pregate e certe chiese visitate volentieri, mentre altre solo per la messa. Il discernimento sull’arte liturgica lo faranno le generazioni, il popolo di Dio e la sua preghiera.
Ma un artista come riesce ad essere interprete, ponte tra il nostro mondo religioso e spirituale e la società ?
Questa è una vocazione. Non credo che se qualcuno vuole essere questo ponte lo sarà veramente. Nella Chiesa le cose vanno avanti per la vocazione, che è una grazia con la quale l’uomo può collaborare. Chi può essere ponte ? Tutti cercano di farlo. Anche una mamma che cerca di insegnare al figlio a guardare il mondo con gli occhi giusti è un ponte grosso. Però per quanto riguarda l’arte, è una particolare grazia che ha la persona, l’artista. Non so se io sono un ponte; credo di non essere tanto diverso dagli uomini di oggi. Cerco di guardarmi bene dentro, conoscermi e percepire come echeggiano in me le cose, gli eventi, gli incontri, e, attraverso un discernimento, di darne una lettura spirituale. La miglior conoscenza del mondo d’oggi è conoscere se stessi, esaminarsi e discernere.
Cosa prova quando realizza un’opera d’arte come questa ?
Mi sento di essere una “guida guidata”; portato da una enorme, luminosa, calda grazia di Dio, in un processo che mi supera, che è molto più grande di me. Malgrado il talento che posso avere o lo studio che posso effettuare, è una grazia; e le cose fatte con la grazia sono belle.
Come si sono svolti i lavori al nostro mosaico? Avete incontrato difficoltà ?
Tutto è andato bene secondo la Provvidenza. La mia preghiera e speranza è che la gente possa ritrovare in questo mosaico un’apertura verso il Signore; e che il Signore possa attraverso quest’opera comunicarsi, farsi vicino, scaldare i cuori, attirare, incuriosire. Devo dire che quest’opera, come tutto quello che stiamo facendo noi del Cento Aletti, è una grazia anche ecclesiale, perché questo mosaico è fatto in équipe. Siamo un gruppo di notevoli artisti che vivono e sperimentano una sintonia seria, anche se siamo misti ortodossi e cattolici, cattolici orientali e latini. Tra di noi c’è una grande partecipazione spirituale, un tener conto dell’altro. In quest’opera stavamo particolarmente attenti, essendo la Trinità tre Persone totalmente libere e unite. L’essenza del nostro Dio difatti in qualche modo è la comunione delle Santissime Persone. Nel piccolo la nostra équipe lavora così; tenendo conto l’uno dell’altro, lavoriamo insieme e in armonia, in un’opera corale. E anche questa è una grazia di Dio.
(Articolo pubblicato su Toscana Oggi – 7 luglio 2002)